Leadership, estroversione, proazione

Un breve, ma molto interessante articolo su HBR Italia di Dicembre, scritto da Adam M. Grant, Francesca Gino e David A. Hofman: I vantaggi nascosti di un leader tranquillo.
La tesi, risultato di due ricerche svolte dagli autori, infrange il luogo comune per cui gli estroversi sarebbero in assoluto i leader più efficaci.
In realtà, sostengono gli autori, l’estroversione è un tratto della personalità che favorisce l’efficacia in termini di leadership soltanto a condizione che il gruppo non sia proattivo.
In caso contrario, quando, cioè, i collaboratori sono attivi nel presentare idee e soluzioni, un leader introverso si dimostra più capace di ascoltare, apprezzare, motivare i collaboratori. I leader estroversi, spesso, si sentono minacciati da collaboratori proattivi.

Certo, i leader introversi devono superare un forte ostacolo culturare: pur rappresentando circa il 50% della popolazione generale, gli estroversi rappresentano una schiacciante maggioranza tra i manager e i dirigenti.

Interessante la conclusione dell’articolo:

Mentre è un fatto che spesso le persone estroverse sono i leader migliori e le persone più proattive i collaboratori migliori, metterli insieme può rappresentare invece l’anticamera del fallimento. Un leader pacato è quello che ci vuole per valorizzare al massimo dei collaboratori proattivi; quindi riserviamo i manager più loquaci per i team che funzionano meglio quando vien detto loro quello che devono fare.

3 commenti
  1. Maurizio dice:

    Per esperienza le persone TROPPO estroverse sono in grado di generare molte difficoltà. Tra le maggiori “disabilità” che ho incontrato: scarsa capacità di concentrazione; ragionamento poco strutturato; dipendenza dall’approvazione degli altri (spesso cambiano idea); incapacità decisionale. Un punto, però, a favore: la capacità di generare relazioni … anche se spesso poco proficue.

    Anche io credo che gli estroversi non siano, in assoluto, i leader più efficaci.

  2. Nazario Ciotti dice:

    Credo che per un’azienda siano più importanti collaboratori proattivi che manager estroversi. Un manager circondato da collaboratori esecutori, molto probabilmente gratificherà il suo ego, ne agevolerà la carriera, ma nel momento in cui lascerà l’azienda lascerà poco o niente dietro di sé. Sono altresì convinto che la proattività dei collaboratori non è una qualità innata ma un’attitudine che il manager stesso deve saper sviluppare, e per esperienza posso affermare che non esistono collaboratori solamente passivi. Certo, bisogna tener conto delle qualità e capacità di ognuno, non portare il collaboratore oltre il suo limite. Questo può anche significare che i migliori possono mettersi in luce e possono essere destinati ad altre mansioni all’interno dell’organizzazione, rompendo quell’equilibrio che il manager ha costruito nel suo team e costringendolo a rivedere tutto.
    Se è vero che gli estroversi rappresentano una schiacciante maggioranza tra manager e dirigenti, e che unirli a collaboratori proattivi è l’anticamera del fallimento, speriamo che presto si inverta il primo postulato.

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