24/7: il mito della produttività
Sul numero di novembre di HBR Italia un articolo decisamente provocatorio: in alcuni tratti sembra parli di un mondo da favola distante anni luce dall’esperienza quotidiana di molte aziende e organizzazioni.
Il titolo già dice molto: “Il tempo libero programmato migliora la qualità del lavoro“.
E il titolo originale è anche più esplicito: “Making time off predictable – and required”.
L’articolo riferisce di una sperimentazione effettuata da Leslie A. Perlow e Jessica L. Porter in diversi uffici americani di Boston Consulting Group.
Si è trattato letteralmente di “costringere” i consulenti di BCG a prendersi dei periodi di tempo programmati per staccare la spina, in aggiunta ai normali ritmi lavoro-tempo libero. Le pause venivano programmate all’inizio di un progetto e l’impegno consisteva nel rispettare questi periodi (che in alcuni progetti erano addirittura di un giorno a settimana) chiudendo i contatti con l’ufficio (comprese email e caselle vocali).
Alcuni risultati in sintesi:
- quello della disponibilità 24/7 più che una reale esigenza era un circolo vizioso in cui la disponibilità prolungata non faceva altro che generare, nei clienti e nell’organizzazione, una richiesta di ancora maggiore disponibilità
- questa aspettativa diventa spesso addirittura un indicatore di valutazione della performance
- il fatto che la disponibilità continua non venga nemmeno messa in discussione genera un atteggiamento verso il tempo che porta le persone a smettere perfino di chiedersi se potrebbero lavorare meno tempo con gli stessi risultati (o, addirittura, con risultati migliori)
- anche i momenti di scambio tra i partecipanti ad un progetto, in queste condizioni, si focalizzano quasi esclusivamente sui contenuti, quasi mai sui processi e sulla qualità del lavoro
Nei progetti in cui si sono stabiliti dei momenti di tempo libero programmato, al contrario di quel che si potrebbe pensare, gli standard operativi non sono affatto calati, e la soddisfazione espressa dai consulenti per il proprio lavoro è cresciuta in maniera consistente.
Il modo migliore per garantirsi questo tipo di benefici è, secondo le autrici:
- Imporre un meccanismo rigido per il tempo libero
Convincere persone molto orientate al risultato a prendersi dei momenti liberi spesso non è facile. A volte lo si deve imporre. - Integrare il dialogo nel processo
Parlare dell’andamento del progetto sul tempo libero rappresenta spesso il primo passo per cominciare a parlare di qualità del lavoro e di processi. Il focus delle riunioni di progetto, quindi, si sposta in parte dal contenuto al processo (priorità, aspettative, problemi…).
Gli esperimenti hanno così sottolineato l’importanza dei un dialogo aperto su un obiettivo che è sia personale che collettivo: garantire alle persone il loro tempo libero. - Incoraggiare la sperimentazione
Il fatto che alcuni consulenti non fossero disponibili in alcuni giorni della settimana (o in alcune ore durante il giorno) ha permesso di ripensare le dinamiche del lavoro in team, incoraggiando sperimentazioni sulla condivisione di informazioni e di task.
Queste sperimentazioni hanno portato spesso ad adottare metodi nuovi e creativi di comunicazione all’interno del team di progetto e con il cliente. - Insistere sul supporto del vertice
La legittimazione (di più, la sponsorship) da parte dei team leader aiuta a vincere lo scetticismo iniziale per sperimentazioni che, per usare le parole degli stessi autori, ripensano l’impensabile.
Una mia breve aggiunta, che introduce una modalità applicativa un po’ diversa rispetto ad una sperimentazione di questo tipo.
Mi capita spesso, durante i corsi sul time management, di auspicare il fatto che i gruppi si organizzino in modo che ciascun membro abbia la possibilità di ritagliarsi degli spazi in cui lavorare ad attività importanti senza interruzioni dall’esterno (telefonate, email, messaggi, eccetera…).
Questa sfida è particolarmente impegnativa proprio in quelle organizzazioni (simili a quelle descritte dalle due autrici) in cui la disponibilità continua verso le esigenze dei clienti (sia esterni che interni) appare come una necessità inderogabile.
Sono d’accordo con le conclusioni dell’articolo: questa disponibilità genera un circolo vizioso che porta ad aumentare e non a diminiure il grado di urgenza con cui le attività e le deleghe vengono trasmesse.
In questo senso, il processo in quattro fasi si può applicare non soltanto al tempo libero, ma anche al tempo libero da interruzioni, in cui le persone possono dedicarsi pienamente alle attività più impegnative.
Secondo me il fatto di lasciare del tempo libero ai dipendenti per sviluppare la loro creatività e staccare la spina dai progetti nei quali sono impegnati non può che giovare ad una organizzazione.
Giovare sia in termini di nuove idee, creatività, sia in termini della soddisfazione del personale. Basta vedere ciò che fanno in Google con il famoso 20% lasciato per i progetti o attività che si desidera…
Grazie Dragan per il tuo commento. In effetti, è quello che penso anch’io.
Certo, non sempre è facile fare percepire il valore di questo tempo, specie in organizzazioni sotto pressione.
Ottimo articolo, e ti devo dire che questa metodologia fa parte della mia vita da ormai più di 4 anni. Facendo una attività nel campo informatico sono riuscito ad abbandonare lo stress del cliente e del progetto ed a ritagliarmi anche lunghi periodi in cui dare sfogo allacreatività e non solo. Ultimamente ho dato vita a due progetti che si stanno realizzando ed ai quali per mia fortuna partecipano diverse entità che sono riuscito a coordinare ed incentivare sopratutto dal punto di vista della soddisfazione personale e non solo lavorativa. Ti ho aggiunto nei miei preferiti e ti segnalo anche sul mio blog, seppure è puramente tecnico, le tue dritte non possono che essere una fonte di ispirazione ed insegnamento valido.
Grazie Enzo per la segnalazione e per aver voluto condividere la tua esperienza!