Dalla statistica alla tragedia

Sono stato un bel po’ in dubbio se pubblicare questo post. Aggiungere un’opinione alle opinioni su una fotografia con il corpo di un bambino riverso su una battigia non fa che spostare l’attenzione dal problema alla nostra reazione al problema. Il tutto mi sembra abbastanza egocentrico, insomma.
E poi, è corretto esprimere un commento “tecnico” quando dietro ai meccanismi della comunicazione ci sono drammi umani di questa portata?
Insomma, il dubbio mi è rimasto. Poi, però, faccio questo mestiere e, insomma, cerco di dare il mio contributo a capire le cose, come molti altri mi danno il loro a capire le mie, di cose. E allora aggiungo questo a tutto il troppo che è già stato scritto.

A Stalin viene attribuita (sembra non l’abbia mai detta) la massima “Una morte è una tragedia, un milione di morti è statistica”. La fotografia del piccolo Aylan ha trasformato una statistica in una tragedia. Potenza della narrazione. Si è detto qui già molte altre volte. Ma perché questa fotografia, questa storia e non altre migliaia di storie che sono state raccontate in questi ultimi mesi?
La narrazione fa leva, tra gli altri, su un meccanismo di coinvolgimento specifico: si chiama potenziale di identificazione. Più è alto, più istintivamente ci viene da dire: “Avrei potuto esserci io, lì”, oppure, in questo caso, “Avrebbe potuto esserci mio figlio”, o il bambino della porta accanto.
Questa fotografia, nella sua crudezza e con il carico di sofferenza che si porta dietro, è perfetta.
Mi viene da chiedermi se sarebbe stata la stessa cosa se quel bambino, invece che bianco, fosse stato di colore. Non parlo di razzismo, ma di minore identificazione. O se quella foto fosse stata pubblicata a dicembre, quando le immagini dei bagnasciuga su cui hanno giocato i nostri figli si sono sbiadite nei ricordi. Oppure, se invece che un t-shirt e dei pantaloncini avesse indossato un abito tradizionale non comune nel nostro pezzo di mondo?

Qualcuno lo ha anche detto in maniera molto esplicita, invitando, per esempio, Matteo Salvini a riflettere su questa tragedia “come fosse stato suo figlio” (ho letto qualche tweet di questo tenore).

Mi è venuta in mente quella scena di Erin Brockovich in cui, davanti agli avvocati della parte avversa, la protagonista li invita a valutare che valore avrebbero dato ad un loro tumore, e, mentre una di loro sta per bere un bicchiere d’acqua, la informa che quell’acqua e stata spillata da una delle fonti contaminate che hanno provocato le malattie di cui si discute nel caso.

Dalla statistica alla tragedia.
Un tipo particolare, però, di tragedia.
Quella in cui possiamo identificarci, quella che potrebbe essere, domani, la nostra tragedia.
Quella che si trasforma in paura.

Insomma, non è che dopo aver visto quella fotografia siamo più solidali con gente che sta peggio di noi. È che abbiamo una paura in più da esorcizzare, tutto qui. Quella fotografia è il volto di questa paura.
Un po’ come quando, in autostrada, capita di incrociare un incidente grave. Una statistica che si trasforma in tragedia. E allora, per qualche minuto, siamo tutti più prudenti: leviamo il piede dall’acceleratore, non rispondiamo al telefono, magari spegniamo pure l’autoradio. Qualche chilometro. Poi torna tutto come prima.

 

1 commento
  1. Silvia dice:

    Leggo sempre con molto interesse ciò che scrivi perchè si trasforma come un invito a riflettere.

    “Poi torna tutto come prima”. Questo pensiero prima di tutti ha generato in me un flusso di idee e immagini. Questa è un’altra delle paure. La paura che avvenimenti come la morte di questo bimbo abbia un’attenzione limitata. La paura che torni tutto come prima. La paura che questi “statisti” non siano in grado di rispondere in modo adeguato a tragedie e statistiche.

    “Ma perché questa fotografia, questa storia e non altre migliaia di storie che sono state raccontate in questi ultimi mesi?”
    All’inizio me lo sono chiesta anche io. Poi ho ripensato a tragedie passate riguardanti i migranti (chi non ricorda i corpi di quei bimbi e le bare bianche con le madri in lacrime?) e quanto avessero colpito l’opinione pubblica. Di più? Di meno? Non saprei, ma di sicuro se ne parlo’ a lungo in tutto il mondo. Sdegno, sconcerto, paura. Il problema ancora oggi non trova soluzione.

    Troveranno una soluzione dopo questa ennesima tragedia?
    O sara’ solo l’ennesima tragedia che scuote gli animi ma non le menti? Quelle menti che, prese dal quotidiano, da altri problemi, lasceranno assopire gli animi nel cinismo?

    Chi lo sa? L’augurio è che quelle paure non vadano scemando nel tempo ma siano stimolo per affrontarle.

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