Concordia capitolo due, lungo
Il mio post precedente circa il naufragio della Costa Concordia ha suscitato alcune reazioni che mi interessa analizzare.
Il ragionamento è piuttosto lungo. Per questo dedico un post, invece che rispondere semplicemente ai commenti.
Il primo post, del 17 gennaio scorso, l’ho concluso così:
Insomma, davanti a questi eventi la dinamica interpretativa è quasi sempre la stessa: per ora ci rassicura sapere che un incidente di questa portata ha una causa ed un responsabile.
E, possibilmente, anche di un eroe che faccia da contraltare.
Per un’analisi che ci consenta davvero di imparare qualcosa per il futuro, c’è tempo.
In alcuni commenti (qualcuno scritto, qualcun altro a voce nei discorsi tra amici) mi è stato fatto notare che in questo modo si rischia di diluire la responsabilità individuale nel “sistema”, di fatto togliendo ogni valore alla responsabilità individuale stessa.
Si dovrebbe, quindi, ammettere che a volte si sbaglia per superficialità, incapacità, magari malvagità, ma non perché il sistema ci ha indotto a sbagliare.
Non sono d’accordo. O, meglio, la mia idea è che il tema della responsabilità sia altra cosa rispetto a quanto ho cercato di sottolineare in maniera sintetica, e su cui voglio tornare.
Voglio essere chiaro fin da principio: se verranno confermate le cose dette dai giornali e dalla TV in questi giorni circa il comportamento del Comandante Schettino, quest’uomo dovrà essere messo di fronte alle sue responsabilità e assumerne le conseguenze. Senza dubbio. (A dire il vero, già oggi, i toni perentori di certe affermazioni si sono notevolmente attenuati nei TG).
Questo, però, non risolve che una parte (secondo me minima) del problema.
E la vera illusione sta proprio nella “narrazione” che la visione che traspare dalle cronache porta con sé: il mondo si divide tra gente comune (come molti dei passeggeri della nave), eroi (come De Falco); e poi ci sono gli Schettino.
E la tragedia della Concordia si spiega facile: gli Schettino, per un momento, prendono il sopravvento.
La domanda successiva, naturalmente, è “come possiamo evitare che accada di nuovo?”
Facile: basta evitare che Schettino (o qualcuno come lui) stia sul ponte di una nave invece che al bar a servire cocktail (con tutto il rispetto per chi, naturalmente, serve ottimi cocktail, ma non ha la responsabilità di quattromila vite umane).
La domanda sposta già di per sé la prospettiva.
Dal singolo individuo (“il responsabile”) al fatto che lui, in qualche modo, a comandare una nave che è una piccola città ci deve essere arrivato.
Va poi aggiunta subito una considerazione circa la differenza tra violazione ed errore (ne ho parlato già nelle prime considerazioni sull’incidente, proponendo il parallelismo tra il naufragio della Concordia e il disastro di Linate del 2001).
La violazione è volontaria (il Comandante della nave che decide di non rispettare la rotta), l’errore è involontario (il pilota che attraversa la pista sbagliata).
Ora, naturalmente, l’obiettivo del percorso di selezione e formazione porta un uomo a comandare una nave è quello di evitare sia errori che violazioni.
Si devono, quindi, scegliere persone tecnicamente preparate, ma anche rispettose delle regole.
(Faccio notare come la Costa ha sempre, per quel che ne so, parlato di “errore umano”, mentre in questo caso si tratta di una violazione, e, nel difendere il suo processo di selezione, di capacità tecniche e mai di coscienziosità e capacità di rispettare le regole).
Qui sorgono i primi problemi.
Infatti, mentre le capacità tecniche sono relativamente semplici da verificare, i tratti della personalità non lo sono affatto. Anche perché, come dimostrano numerose ricerche, molti tratti della personalità sono facilmente influenzabili, e quindi modificabili, da una serie di fattori difficili da controllare (un esempio per spiegare l’affermazione: lo stesso individuo può essere estremamente coscienzioso nel momento in cui la sua autorità è riconosciuta e quindi non ha bisogno di dimostrare nulla, ed esserlo molto meno, e quindi assumere molti più rischi, nel momento in cui questa autorità la deve ancora conquistare).
Può succedere, quindi, che persone assolutamente preparate tecnicamente, ma con personalità non adatte, ricoprano ruoli di responsabilità che implicano decisioni impattanti sul futuro di una grande quantità di individui. Come il capitano di una nave.
Ora, in ottica di prevenzione del rischio, come si agisce sul fronte delle violazioni?
Il modo più semplice è quello di alzare il prezzo delle violazioni stesse. Mi spiego.
Quando ho ascoltato per la prima volta la cronaca dell’incidente da cui sono emerse le responsabilità del Comandante, la prima domanda che mi è venuta in mente è stata “Ma come poteva pensare di farla franca?”
Cioè, se anche avesse evitato lo scoglio, come poteva pensare che una manovra di avvicinamento all’isola tanto rischiosa non fosse punita dalla Compagnia?
Pensavo, infatti, che il controllo delle rotte delle navi venisse effettuato a livello centrale, che qualsiasi deviazione dalle rotte stabilite dovesse essere, in qualche modo, giustificata e che un “inchino” non potesse essere una giustificazione valida.
Cioè: se Schettino avesse pensato di rischiare il posto, avrebbe commesso quella violazione?
Quindi, prima conclusione: le organizzazioni attente alla sicurezza concentrano la propria attenzione sia sugli errori (mettono in campo un sistema formativo che ne riduca al minimo la probabilità) sia sulle violazioni (con un sistema di controllo che consenta di utilizzare leve di incentivi e disincentivi per il rispetto delle regole relative alla sicurezza).
Un ulteriore passo avanti, attraverso una domanda: il comportamento del Comandante, era in qualche modo prevedibile?
Perché se un comportamento non è prevedibile, allora, in ogni caso, non è possibile creare un sistema di incentivi / disincentivi che favorisca il rispetto delle regole.
La risposta a questa domanda non è banale.
Entra in gioco, infatti, quello che gli psicologi cognitivi chiamano hindsight bias (o errore del giudizio retrospettivo). Wikipedia lo definisce così:
è la tendenza delle persone a credere, erroneamente, che sarebbero state in grado di prevedere un evento correttamente, una volta che l’evento è ormai noto.
Il processo si può sintetizzare nell’espressione: “Ve l’avevo detto io!”.
Quindi, un disastro come quello della Concordia è molto facile da prevedere… a posteriori!
Riprendo, a questo punto, uno dei concetti espressi nel post precedente: i cosiddetti “near miss“, gli episodi nei quali si è sfiorato l’incidente, ma non si sono subite conseguenze (per un colpo di fortuna, oppure per l’abilità di chi ha diretto le operazioni in quell’occasione).
Sono questi i momenti nei quali ci si può fare un’idea di quali siano le violazioni possibili, e, quindi, i comportamenti di chi sta al comando.
Se, nella storia di un’organizzazione, nessun comandante ha mai abbandonato la rotta prescritta, oppure se questo abbandono non ha mai implicato alcun rischio, allora, in qualche modo, si può dire che un episodio come quello della Concordia era imprevedibile.
Se è vero il contrario, no.
Ora, ho già detto come in molti casi, le inchieste hanno portato in evidenza la prevedibilità di eventi avversi sulla base della corretta interpretazione dei near miss.
(A Linate le runway incursione – incursioni non autorizzate sulla pista – non erano un evento raro, ma, fino a quel momento non avevano provocato incidenti).
E le prime fasi dell’inchiesta sul naufragio sembrano andare in questa direzione.
Il problema interpretativo rispetto ai near miss sta proprio nel fatto che spesso vengono risolti positivamente dalla fortuna e/o dall’abilità delle persone coinvolte.
Possono, quindi, essere interpretati come rinforzo positivo rispetto al tema delle capacità tecniche.
Cioè: il comandante di una nave che si allontana dalla rotta per un “inchino”, quando questo fatto non porta conseguenze, può essere interpretato come un campanello d’allarme sul tema della capacità del comandante stesso di rispettare le regole, e/o come un rinforzo positivo rispetto alle capacità tecniche di conduzione della nave.
Non serve sottolineare come, nell’ottica della prevenzione rispetto alle violazioni, soltanto la prima interpretazione dà un apporto positivo.
La seconda, in effetti, è una strada più facile.
Seconda conclusione, quindi: le organizzazioni attente alla sicurezza considerano i “near miss” come occasioni di apprendimento.
Tutto ciò, naturalmente, non prende nemmeno in considerazione l’ipotesi che l’assunzione di rischi da parte dei comandanti fosse, per qualche ragione, incentivata invece che disincentivata da parte della Compagnia.
Un ultimo punto del ragionamento ha a che vedere con il fatto che molti hanno concentrato l’attenzione più sul comportamento post-impatto del capitano che sulla sua violazione rispetto alla rotta.
Il fatto di aver abbandonato la nave è apparso più grave del fatto di aver abbandonato la rotta. (Ho sentito diversi giornalisti cimentarsi in questa tesi).
Insomma, meglio trasgressivo che codardo. Il tutto ad alimentare il mito (che, lo so, è anche una regola) del comandante che non abbandona se non per ultimo la nave che affonda.
Anche questa interpretazione, mi pare, cozza con la voglia di imparare qualcosa di utile da questa tragedia.
Certo, fornisce combustibile per la contrapposizione tra l’eroe e l’anti-eroe.
A me, in un contesto come quello, pare ben più grave la violazione delle regole a cuor leggero che la codardia.
Ci sarebbero alcuni altri temi su cui ho sorvolato: ci tornerò in seguito, questo post è già fin troppo lungo così.
Spero, però, di aver argomentato in maniera esaustiva la separazione di quanto avevo scritto in sintesi alcuni giorni fa rispetto al tema della responsabilità individuale.
Tutto questo, naturalmente, è la modesta opinione di una persona “non informata dei fatti”.
E tutto questo al netto del fatto che, probabilmente, è molto più attraente sapere tutto sulla presunta amante del capitano e che ogni tentativo di spostare il ragionamento su un piano un po’ diverso è un modo di vedere il mondo un po’ snob, francamente noioso e anche un po’ irritante.
Essendo stato in passato cliente Costa Crociere e membro del CostaClub, ho ricevuto una lettera (circolare) dal Presidente Foschi che ritrascrivo:
“Gentile Alberto …..,
in un momento così delicato, mi preme rendere conto a chi, come Lei, ci dimostra da tempo la propria fiducia e vicinanza in qualità di Socio CostaClub.
Il terribile incidente della Costa Concordia ci ha colpito nei nostri affetti più cari: i nostri Ospiti, i nostri dipendenti, una delle nostre magnifiche navi.
Soffriamo per le sofferenze e il disagio che queste persone hanno subito e per il dolore delle famiglie delle vittime. Circa 1.100 persone di Costa Crociere in tutto il mondo sono oggi impegnate senza sosta dalla serata di venerdì nella gestione di questo terribile incidente per supportare le operazioni di salvataggio e assistere Ospiti ed equipaggio per farli ricongiungere alle loro famiglie, riportandoli ai loro luoghi di residenza.
Questo drammatico evento straordinario, apparentemente causato da un unico errore umano, che non dovrà più ripetersi così come è accaduto, non doveva verificarsi.
In questo frangente, sappiamo degli atti di eroismo di membri dell’equipaggio che hanno anteposto l’altrui salvezza alla propria. L’equipaggio si è comportato in modo encomiabile in una situazione di estrema difficoltà, riuscendo nelle condizioni terribili in cui si trovavano, ad evacuare oltre 4.000 persone nel minor tempo possibile: siamo fieri dell’impegno che dedichiamo, e le nostre persone con noi, alla Vostra sicurezza.
Chi ci conosce sa che Costa Crociere opera nel pieno rispetto di tutte le norme relative alla sicurezza e le sue procedure sono in linea, e in alcuni casi vanno oltre, con gli standard internazionali.
Tutti i membri dei nostri equipaggi dispongono di uno specifico addestramento per la gestione delle emergenze e per assistere gli Ospiti in caso di abbandono nave. Ogni membro dei nostri equipaggi dispone di una specifica certificazione (BST – basic safety training) e tutti sono formati attraverso esercitazioni di abbandono nave che si ripetono costantemente ogni 2 settimane.
Ruoli, responsabilità e compiti sono chiaramente definiti e assegnati per consentire la gestione di una situazione così importante.
La preparazione degli equipaggi Costa Crociere viene anche periodicamente verificata dalla Guardia Costiera e dagli enti di classificazione indipendenti in linea con il rispetto dei requisiti specificati nel sistema SMS (Safety Management System).
Per tutti gli Ospiti in crociera è prevista un’esercitazione entro 24 ore dal giorno dell’imbarco, come richiesto dalla legge. Costa Crociere ha un sistema computerizzato che consente di verificare che tutti gli Ospiti abbiano partecipato all’esercitazione.
Per garantire la massima sicurezza, poi, in tutte le navi Costa sono disponibili giubbotti di salvataggio, lance e zattere in numero superiore al massimo delle persone che possono essere ospitate dalla nave. Nelle lance sono presenti dotazioni di sicurezza, come riserve d’acqua e cibo, cassette medicinali e strumenti di segnalazione e comunicazione, che consentono di aspettare in sicurezza l’arrivo dei soccorsi. Le lance sono inoltre oggetto di scrupolose verifiche periodiche da parte del personale della nave e degli organismi di certificazione.
Tutte le navi Costa Crociere sono certificate dal RINA e sono costruite secondo i più elevati standard e tecnologie.
Siamo consapevoli della responsabilità che abbiamo verso chi ripone in noi la propria fiducia e le attestazioni che ci vengono da chi è stato sulle nostre navi e ha incontrato le nostre persone ci confortano in questo momento.
Il mantenimento di questa stessa fiducia anche da parte sua, nonché l’auspicio di averla nuovamente a bordo delle nostre navi, saranno per noi il miglior premio a tutti i nostri sforzi.
Con sincera gratitudine,
Pier Luigi Foschi
Presidente e A.D. Costa Crociere Spa”
Come ex utente, ma soprattutto come manager che per lunghi anni ha ricoperto responsabilità in aziende industriali e che oggi se ne occupa come consulente, questa lettera mi ha molto disturbato per il suo tono troppo superficiale ed intempestivamente autoassolutorio.
Ho ritenuto quindi, un pò di getto, di rispondere come segue:
”
Egregio dr. Foschi
Ringrazio per la tempestiva informazione. Naturalmente sono vicino a Costa Crociere e a chi ci lavora, in questo difficile frangente (oltre, naturalmente che a chi è stato coinvolto o vittima del naufragio). Mi permetto tuttavia di osservare, rispetto a quanto illustrato, che a fronte di tutte le encomiabili attenzioni dimostrate per la sicurezza di navi, equipaggi e passeggeri, forse non si è dimostrata altrettanto adeguata ed efficace la vostra scelta, la valutazione nel tempo ed il controllo sul fattore umano, specie per coloro che ricoprono delicate responsabilità direttive, o, nel caso, di comando.
Come passeggero di un certo numero di crociere, o attraverso i racconti di amici anch’essi passeggeri (oltre al dato oggettivo di navi ormai troppo grandi – per ovvi motivi di economie di scala – e troppo affollate, che possono risultare comunque difficili da gestire nelle emergenze) credo di aver notato un eccesso di enfasi posto più sull’aspetto ricreativo/mondano o, detto più alla buona “festaiolo” – quasi “forzato” – che su quello prettamente turistico, che, seppur apprezzato da molti clienti, rischia di divenire il principale focus di tutta l’organizzazione e di influenzare anche pesantemente atteggiamenti e comportamenti di tutto il personale/equipaggio.
In particolare intendo dire che la nave è sempre una nave, e che gli animatori non sono i padroni della nave, e soprattutto che la distinzione tra equipaggio (in primis comandante e ufficiali) ed “animatori vari” deve sempre essere ben netta e definitiva, mentre invece a volte sembra troppo sfumarsi nella generale atmosfera di festa e divertimento.
Questo (sempre che non esistano anche direttive o sollecitazioni aziendali in tal senso) rischia di influenzare pericolosamente tutti i meccanismi decisionali, sia personali che organizzativi, attenuando il livello di attenzione e di consepevolezza del rischio, che per un “hotel galleggiante” non è per nulla diverso che per una petroliera o una portacontainer: che però non hanno a bordo orchestre, teatri, casinò ecc… e neppure 4000 persone e che quindi dovrebbero essere soggetti ad una disciplina ed a misure di prevenzione ben più elevate.
Bisognerebbe meglio separare le due cose ed i due momenti (la navigazione ed il divertimento) e scegliere meglio, controllare e valutare (visite di controllo psico-attitudinali, test alcologici e tossicologici ecc…) chi ha responsabilità nella guida e gestione delle navi. E mai tollerare anche piccole violazioni dalle rigorose norme di sicurezza.
Cordiali saluti e buon lavoro,
Alberto”
Questo mio messaggio sintetizzava, un pò istintivamente, il pensiero che ancora oggi ho sul tema: il lavoro, specie quando questo implica responsabilità per la sicurezza (anche in senso molto lato) e il divertimento (altrui o men che meno proprio), o l’interesse personale, sono cose che vanno sempre distinte in modo rigoroso: tutta l’organizzazione e la cultura aziendale debbono essere pervase da questa convinzione. Se non è così il sistema non è in controllo e tutto (anche il peggio) è sempre possibile.
Io anche per questo da tempo ho abbandonato le crociere come forma di vacanza: la nave come divertimentificio, ancor più che un hotel o un villaggio turistico ha in sè tutti i tratti dell’industrializzazione dello svago, per la sua realtà fisica di opificio con una sua organizzazione intensiva e quasi costrittiva (timbrare il badge,orari di lavoro/divertimento, divertimento/lavoro a turni, rigidi programmi di produzione/svago e così via): mi ricordava nelle sue logiche i grandi stabilimenti industriali dove ho lavorato, ma senza una cosa, e cioè proprio il senso della serietà di ciò che si sta facendo,delle relative responsabilità e soprattutto dei suoi rischi, che nelle fabbriche più o meno c’è sempre, mentre lì, pur in un’apparente perfezione organizzativa (come hotel) non c’è sicuramente nei passeggeri, ma pare visibilmente non esserci anche nel personale, molto preoccupato del “servizio” e del “divertimento” piuttosto del fatto che la nave è pur sempre un veicolo che si muove non su dei binari (che comunque anch’essi non danno totale sicurezza) ma che deve essere guidato con attenzione da persone che pensino SOLO A QUESTO.
Tutto ciò è primaria responsabilità dell’azienda che deve avere delle policy chiare e vigilarne la rigorosa applicazione. E naturalmente scegliere le persone giuste per attribuire delle responsabilità. Le navi devono essere portate da Comandanti di navi, non da direttori di villaggio turistico (e forse questo confine non è più così netto nelle navi da crociera).
In un’opera del 2007 di Howard Gardner, “Cinque chiavi per il futuro”, l’autore fa riferimento a cinque intelligenze da sviluppare nelle giovani generazioni al fine di formare una società in grado di affrontare le sfide future. Tra le cinque intelligenze è menzionata “l’intelligenza etica”. Colui che ha sviluppato questo tipo di intelligenza è descritto come “conoscitore dei valori fondamentali della professione, valori che cerca di preservare e trasmettere. Si accolla responsabilità e agisce a partire da quelle; è pronto a dire la sua anche a costo di pagare di persona.
Probabilmente questa intelligenza nell’antieroe della vicenda è allo stato embrionale, ma mi pare che anche l’eroe non l’avesse granché sviluppata! Poteva la Capitaneria di porto, comandata dall’eroe De Falco, non essere al corrente degli inchini o genuflessioni che si consumavano con una certa frequenza in quelle acque?