Potere, morale, ipocrisia
Già qualche tempo fa, ho messo in evidenza in questo post i meccanismi attraverso i quali il potere può corrompere i leader.
Sul numero in edicola di Mente & Cervello, Stefano Pisani dà conto di una ricerca effettuata all’Università di Tilburg, in Olanda e dalla Kellogg School of Management (Illinois), secondo la quale il potere rende scorretti e immorali.
Secondo i ricercatori le persone che occupano posizioni di potere tendono a predicare bene e razzolare male molto più delle altre persone, mostrando indulgenza nei confronti dei propri comportamenti e, al contrario, severità nei confronti dei comportamenti altrui.
L’obiezione potrebbe essere quella che la scorrettezza e il cinismo siano più che un effetto del potere, una pre-condizione per conquistarlo (non sarebbe, quindi, il potere a corrompere, ma piuttosto il meccanismo di promozione sociale a favorire i cinici).
L’esperimento, però, per come è stato costruito, pare dimostrare il contrario: ai soggetti, infatti, sono stati assegnati ruoli di maggiore o minore potere in maniera casuale.
Anche così, i soggetti che detenevano più potere hanno dimostrato un’ipocrisia morale maggiore, predicando un comportamento retto a parole, ma poi contraddicendo questo assunto nei fatti.
Coloro, invece, ai quali era stato assegnato un ruolo più umile, tendevano ad essere molto meno indulgenti con se stessi che con gli altri (i ricercatori hanno battezzato questo atteggiamento con il nome di “ipercrisia”, in contrapposizione con il termine “ipocrisia”).
Il potere, stando a questi risultati, avrebbe dunque “in sé” la capacità di corrompere.
Il che dovrebbe renderci da un lato prudenti nell’emettere giudizi affrettati su chi occupa posizioni di potere, ma dall’altro attenti a generare meccanismi preventivi sia a livello macro (politica) che micro (gestione dei team di lavoro ed esercizio della leadership in azienda, per fare un esempio).
Ho recentemente ascoltato questa citazione: ‘Possono perché credono di potere’ (Virgilio)
Potere, usato come autoritarismo e prevaricazione, credo nasconda sempre paura ed insicurezza di chi ne fa uso.
L’assunzione di responsabilità, invece, può manifestare un genuino approccio verso il potere ed il suo uso.
Credere di potere ha anche una controparte: colui o coloro i quali ti lasciano crede di potere. Che ti temono, più che ti rispettano. Perché se te lo lasciano credere è perché ne traggono un tornaconto o perché hanno, in fondo, come chi usa il potere, insicurezza.
Forse allora non è ‘potere’ che suscita elementi di moralità e ipocrisia, ma ‘abuso di potere’ e, dall’altra sponda (cioè da parte di chi lo ‘subisce’, opportunismo.
Grazie Francesco.
In effetti, credo che questa ricerca rimetta al centro dello studio del potere la definizione che ne ha dato Mario Stoppino: “Una causazione sociale intenzionale o interessata”, e di cui ho parlato qui:
https://www.lucabaiguini.com/2007/03/potere-intenzione-interesse.html
Ci andrei piano con le correlazioni statistiche che possono emergere da esperimenti come questi. Comunque, che all’interno di un’organizzazione, al crescere del potere aumentino anche le contingenze di rinforzo verso comportamenti amorali o immorali è possibile.
E però in ambito di psicologia sociale io non escluderei la teoria che sembra più naturale, e cioè che una preesistente assenza di scrupoli possa essere un vantaggio competitivo. In fondo le due spiegazioni non si escludono a vicenda.
E’ vero, le due spiegazioni non si escludono. Mi piace sottolineare quella meno intuitiva e, se vogliamo, più provocatoria…
nelle organizzazioni si crea quasi una tradizione, cioè se ha detenere il potere era una persona equilibrata e preparata è probabile che favorirà quale suo successore nelle promozioni ecc. una persona con caratteristiche analoghe. ugualmente se una persona che dirige una organizzazione è debole, ingiusta e nevrotica, tenderà a favorire qualcuno simile nelle promozioni. così si creano dei circuiti di ricambio di vertici in cui il ricambio è solo nominale. poi, il caso, a volte fa migliorare o peggiorare le situazioni. c’è sempre una speranza.