Professione speechwriter
In un bell’articolo su Newstatesman, Sophie Elmhirst rende conto di alcune interviste a famosi speechwriters, descrive questa professione e sottolinea le molte differenze nei modi in cui questo mestiere viene interpretato negli Stati Uniti rispetto alla Gran Bretagna.
Le pagine sono ricche di spunti interessanti.
La retorica, sottolinea l’autrice, era nell’antica Grecia uno dei tre pilastri dell’apprendimento, insieme alla grammatica e alla logica. Aristotele ha postulato le tre dimensioni della retorica: l’ethos, la credibilità dello speaker, il pathos, la relazione emotiva; e il logos, le argomentazioni logiche. La retorica era un’arte, una complessa espressione di sé. Oggi, invece, chi utilizza la retorica è guardato con sospetto, e viene spesso accusato di essere “tutto fumo e niente arrosto” (lo hanno fatto Hillary Clinton contro Barak Obama e Gordon Brown contro David Cameron).
Sussistono comunque grosse differenze tra la cultura britannica e quella statunitense. Negli USA gli speechwriter della Casa Bianca sono quasi delle superstar, che vivono a stretto contatto con il Presidente.
Il White House Office of Speechwriting, durante la presidenza Clinton, era costituito da un numero variabile da quattro a sei persone. Ogni speech veniva assegnato ad un autore, che consultava tutte le persone che, nell’amministrazione, potessero dargli delle idee dei contenuti. Per i discorsi più importanti gli speechwriter lavoravano in coppie e per i discorsi sullo Stato dell’Unione veniva coinvolto tutto lo staff già diverse settimane prima della scadenza.
Poi il discorso veniva sottoposto al Presidente, che spesso apportava cambiamenti anche sostanziali, e quindi rifinito fino all’ultimo momento.
Più o meno lo stesso vale anche per Barak Obama, che supervisiona scrupolosamente le fasi dello speechwriting.
Tutto questo dà l’idea di quanto questi speech vengano considerati dai Presidenti Americani come una parte rilevante e impattante della loro attività.
La situazione a Westmister sembra diversa. Non c’è un vero e proprio “Speechwriting office” e i collaboratori che preparano i discorsi di Gordon Brown godono di uno status ben diverso dai loro colleghi americani. Lo stesso Primo Ministro si spende molto meno durante il processo di scrittura di un discorso. Naturalmente, la qualità del lavoro fatto ne risente, e con essa il suo impatto dei discorsi.
Devo dire che questo articolo mi ha molto incuriosito. Mi domando che cosa abbia di particolare e di diverso la democrazia americana rispetto a quella inglese.
E, ma questo lo chiedo a voi, quale sia la situazione in Italia. Qualcuno vuole condividere qualche notizie e osservazione?
In Italia sia gli industriali, sia i politici si avvalgono di speechwriters anche se non in maniera ufficiale. Poi accade che, durante una conferenza stampa, all’interno di un guazzabuglio di voci e persone, lo speechwriter del Presidente si avvicina a lui per dare suggerimenti in viva voce. Era già noto che ne avesse uno ma non che fosse così presente.
Ad ogni modo per quanto riguarda l’attività di speechwriters qua in Italia non ha molto eco, di certo non sono star come accade altrove. E stando allo standard di alcuni discorsi di politici forse qualche pecca c’è. Bisogna chiedersi se dipende dallo speechwriter o forse dal politico che non ha seguito il discorso. Un discorso è come un abito di alta sartoria, deve infilarsi a pennello; ogni sbavatura o bottone fuori posto può compromettere il risultato di farsi ascoltare dalla platea e peggio ancora perdere credibilità.
Interessante, molto! Grazie Silvia.
Concordo con l’analogia sartoriale.
L’Italia non è ancora pronta (e forse mai lo sarà) per ufficializzare il ruolo degli speech writer. si tratta di un riserbo intimamente connesso alla presunta superiorità cognitiva del politico o dell’imprenditore di turno. mentre in america il presidente non ha alcun problema a farsi vedere con il suo s.w., anzi la foto tra obama e faveau rafforza il ruolo del pres.in Italia nessun presidente (o politico a ogni livello rappresentativo) affronterebbe mai un tale grado di ‘trasparenza’. In italia l’humus nel quale cresce e si pascia la politica è opaco e tale deve restare. Basti considerare l’autoreferenzialità, l’autarchia delle segreterie politiche e della loro costante conflittualità funzionale con i portavoce o i capi uffici stampa. Siamo al medioevo della comunicazione… quello del rapporto tra politica-sw-trasparenza è argomento da trattare come caso di non scuola! Saluti.
Grazie Sabrina per il commento
Sono in linea di massima d’accordo, anche se mi pare che qualcosa si stia muovendo (vedi la visibilità data da Pisapia al suo staff elettorale)… Chissà….