Fenomenologia dell’open-day
La figlia tredicenne tra qualche settimana deve decidere quale scuola superiore frequenterà. Ho scoperto, di conseguenza, un fenomeno di cui sapevo poco o nulla e che meriterebbe un po’ di approfondimenti: l’open day.
Le scuole si mettono, una volta l’anno, a fare marketing: invitano gli studenti e i genitori a passare qualche ora (di solito il sabato pomeriggio) dentro alle strutture scolastiche e illustrano (termine anche qui abbastanza markettaro) l’offerta formativa.
Immagino i preparativi: tutto l’istituto da tirare a lucido, aula magna in primis, e mercanzia da esporre: laboratori linguistici, aule, palestre, laboratori informatici (tra parentesi, l’idea stessa di “laboratorio informatico” mi sa di scollegamento con la realtà, ma forse è una fissazione mia).
Poi, c’è chi ci riesce meglio e chi peggio, in questo maquillage ad uso di famiglie benintenzionate. Anzi, qualcuno lo fa proprio bene. Buffet compreso.
Due cose mi sono portato a casa, in generale.
La prima: molti degli insegnanti che ho incontrato si rappresentano come una categoria sotto assedio, tanto da sentirsi in qualche caso addirittura in dovere di giustificare la propria esistenza (gli insegnanti di latino e greco sono il prototipo di questo fenomeno).
Sarà che si è rotto (irreparabilmente?) il patto generazionale che li legava ai genitori nell’opera educativa, sarà che si tratta della prima generazione di insegnanti che si trova a confrontarsi con genitori che o hanno il loro stesso grado di istruzione (quando non superiore), oppure del grado di istruzione se ne fregano e si relazionano, di conseguenza, senza timori reverenziali. Quale che sia la ragione, la sensazione netta (non sempre, ma davvero spesso) è quella di un posizionarsi sulla difensiva, impegnati più a giustificare il proprio ruolo che a rileggerlo alla luce di un processo educativo che altroché se ha ancora bisogno di loro. Probabilmente oggi più di ieri.
La seconda: molti tra questi stessi insegnanti sono completamente digiuni dei meccanismi base della comunicazione. Intendo proprio l’ABC. Quello che ti insegna a distinguere il momento in cui puoi sfruttare la tua autorevolezza da quello in cui l’autorevolezza te la devi ancora costruire, per esempio. Nel secondo caso, se vuoi trasmettere che il latino è importante, non serve quasi a nulla dire che il latino è importante. Prima si guadagna l’autorevolezza, poi si consegna il messaggio.
Insomma, a parte qualche eccezione, la sensazione è che si tenti di salvare il salvabile, di difendere il fortino.
Qualche volta mi è anche venuto voglia di dirglielo, a qualcuno di questi insegnanti, che qui fuori non si sta poi così male, e che c’è bisogno di loro per stare anche meglio. Che è vero, il latino è importante. L’ho studiato e mi è servito parecchio. Ma che la differenza non l’ha fatta il latino, o la matematica o la filosofia. L’hanno fatta (allora come, credo, oggi) gli insegnanti stessi, quando hanno avuto la forza di sfidarci sul nostro terreno, di guadagnarsi l’autorevolezza nel confronto, continuo e senza sconti.
Da insegnante sempre in prima fila nei cosiddetti open day, ti stringo amichevolmente e virtualmente la mano perché penso che tu abbia colto nel segno. Proprio questa difficoltà diffusa nel reinterpretare il proprio ruolo in un mondo molto differente da quello di venti anni fa crea non pochi problemi. Eppure facendo il formatoredi insegnanti oltre che l’insegnante in classe ho visto tante energie non valorizzate!
Come sempre Luca, osservi con attenzione ed individui il nocciolo delle questioni. Conosco molto bene il mondo della scuola per essere stata insegnante per molti anni ed ora per il fatto che mi occupo di formazione per gli insegnanti. Vero, nonostante la natura del loro lavoro, quasi sempre ignorano l’abc della comunicazione il che li rende deboli nel condurre relazioni complesse come sono quelle che riguardano l’ambiente aula e le interazioni con i genitori. Spesso anche con i colleghi. Anche per questo in un contesto come quello attuale gli risulta difficile costruire e coltivare la propria autorevolezza. Talvolta è come se neppure loro credessero davvero nel proprio ruolo e nella sua importanza e si presentano “arresi”. Secondo spunto di riflessione:open day come operazione di marketing, in cui le scuole devono cercare di “vendersi” al meglio, spesso ignorando del tutto come si faccia (e aggiungo legittimamente, perchè ad ognuno il proprio mestiere.). Non sarebbe mille volte meglio per tutti restituire a queste giornate, magari lavorando in rete con le scuole medie, la loro natura di attività di orientamento? In fondo la cosa più importante anche per il successo di tutti gli attori di questo contesto è che le persone, allievi e genitori siano in condizione di fare la scelta più consapevole e “giusta”. Allora l’open day sarebbe solo un’occasione di ulteriore verifica di scelte fatte con e per motivi ben più consistenti e funzionali all’unico obiettivo importante: accompagnare i ragazzi alla scelta del loro futuro, assisterli in questa scelta ed insegnare loro come si effettua una scelta. La scuola è continua ad essere pur con mille limiti, l’unica possibilità che offriamo ai nostri ragazzi per costruirsi il proprio futuro e quello che conta di più per loro sarà di incontrare a scuola persone convinte del valore del proprio lavoro e determinate verso l’obiettivo fondamentale che è promuovere apprendimenti e favorirli.
Tutto vero ahimè ciò che dici Luca. C’è bisogno di insegnanti e soprattutto bravi insegnanti. C’è bisogno di autorevolezza soprattutto quando l’età dei giovani sale e gli stessi sono sempre pronti a metterti in discussione anche in maniera aggressiva a volte. C’è bisogno di autorevolezza per rendere credibile non solo la presenza e l’importanza di quella materia ma di ogni singolo messaggio di informazione/conoscenza che l’insegnante condividerà con i propri studenti. L’autorevolezza è innanzitutto un qualcosa che abbiamo dentro ma che ci deve essere riconosciuta anche fuori per avere una validità. Il punto fondamentale è che oggi gli insegnanti sono stati depauperati in primis del loro ruolo di educatori, di conseguenza dell’importanza di ciò che si insegna e ovviamente della loro autorevolezza. Non gli studenti, ma il sistema (lo stato, la scuola, i genitori …) ha compiuto questa privazione di riconoscimento verso gli insegnanti che oggi per svolgere il loro lavoro devono difendersi da quel sistema. Forse tra i corsi di aggiornamento dovrebbero prevedere corsi di autostima, comunicazione, leadership, teamwork che possano ridare dignità agli insegnanti in una forma anche al passo con i tempi. Potrebbe essere una soluzione?
Grazie a tutte per i commenti.
Sono anch’io convinto che le scuole (specie le scuole pubbliche) non debbano necessariamente attrezzarsi per “vendersi”. A ciascuno il proprio mestiere, appunto. Diverso il tema dell’autorevolezza. Su questo, invece, una qualche riflessione va fatta proprio alla luce della rottura del patto generazionale che porta spesso i genitori dall’altra parte della barricata (e già il parlare di barricata è indicativo). Magari, su quest’ultimo punto, tornerò a breve.
Bravo Luca, io nella mia passata esperienza come educatore mi sono relazionato con insegnanti davvero sulla difensiva, che non riescono più ad essere “modello” e nenche “guida” per i giovani. La scuola che è alla base della formazione pecca proprio nella formazione dei formatori!