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Tassonomie

Dal Dizionario delle scienze fisiche Treccani:

tassonomìa [Comp. del gr. táxis “ordine” e -nomia]
Branca della scienza che studia i metodi con cui si ordinano in sistemi i dati, le conoscenze e le teorie via via acquisite.

Io la uso spesso, questa parola, per spiegare quel che cerco di fare con i miei studenti (è stato proprio uno studente, qualche tempo fa, a definirmi un tassonomista).
Qualche volta si tratta di provare a costruirne insieme, più spesso di trasmettere ciò che io o altri abbiamo già costruito. Perché una tassonomia ben fatta è già di per sé un passo avanti nella conoscenza, visto che richiede di:

  1. definire uno o più criteri di ordinamento;
  2. individuare la struttura del campo di conoscenza delineata da tali criteri (elenco semplice, elenco per insiemi, gerarchia, matrice, cubo, se si parte dal numero di livelli e di dimensioni);
  3. individuare (possibilmente tutti) gli elementi definiti da ciascun criterio;
  4. definire puntualmente il significato dei termini utilizzati per ciascun elemento;
  5. eventualmente anche definire le caratteristiche chiave di ciascun elemento che possano essere utili ad assumere decisioni relative a quella tassonomia (quale tra gli elementi scegliere in determinate circostanze, per esempio).

Qualche esempio delle domande che stanno alla base alcune delle tassonomie oggetto delle mie lezioni:

  • Quali sono i modi per creare consenso?
    Quali i vantaggi ed i rischi di ciascuno di questi modi?
  • Quali sono le tipologie di comportamenti che si possono applicare nel trasferire un compito ad un collaboratore?
    Quale il criterio di scelta?
  • Quali sono i possibili modi per risolvere un conflitto? Quali i vantaggi ed i rischi dell’utilizzo di ciascuna di queste modalità?
    E quando normalmente viene applicato ciascuno di questi modi?

La risposta che ho dato io all’ultima domanda sta qui.

Cerco di analizzare il processo per quest’ultimo caso:

  1. Criteri di ordinamento:
    • modalità con cui viene cercata la soluzione di un conflitto
      • attraverso una soluzione portata al tavolo da una delle parti
        • che viene imposta (Esercizio del potere)
        • che viene “venduta” (Persuasione)
      • attraverso una soluzione che emerge dall’interazione tra le parti (Negoziazione)
  2. Struttura del campo di conoscenza: elenco clusterizzato secondo i criteri visti sopra
  3. Elementi individuati: Potere, persuasione, negoziazione
  4. e 5. li si può leggere nel post già citato.

Naturalmente, non tutte le teorie ed i modelli sono tassonomie, ci mancherebbe.

Anzi, sarebbe forse interessante costruire una tassonomia delle tipologie di teorie manageriali.
Un’altra volta, magari…

Sapere, saper fare, saper insegnare

Parto, in questo ragionamento, da una constatazione: sono consapevole di non saper fare molte delle cose che conosco e che insegno.
Nel senso che, nell’applicare le teorie ed i modelli che insegno nella mia vita di tutti i giorni, faccio la stessa fatica di uno qualsiasi dei miei allievi.
Anzi, spesso, di più.

Ora, succede frequentemente di sentire affermazioni del tipo: “Diffida di chi non sa fare le cose che pretende di insegnarti“.
Diffidate di me, allora.
Ma quanto (e a che condizioni) è vera questa affermazione?

Il tema appare complesso. Ecco i miei due cents.

 

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Rigore e rilevanza [2]

In questo post di qualche settimana fa, si poneva il problema del rapporto tra rigore e rilevanza nelle ricerche sul management e nella loro divulgazione.

Su Financial Times, George Yip pone esattamente la stessa questione, e ne dà un’interpretazione originale e, secondo me, con qualche importante conseguenza.

Anche quando gli accademici che si occupano di business possono raccogliere dati e condurre ricerche in temi che riguardano il business, si trovano ad affrontare la sfida aggiuntiva che la grande maggioranza delle loro scoperte – previsioni su ciò che accadrà in media – non sono utilizzabili dai manager. Continua a leggere

Ancora su esperienza e formazione

Il commento di Luigi Mengato al post Formazione Vs Esperienza, oppure no? mi ha portato ad alcune riflessioni, che vorrei condividere con voi.
Affermavo, in quel post, che la formazione dovrebbe fornire quei modelli attraverso i quali massimizzare l’apprendimento che deriva dalle esperienze.
Il commento di Luigi:

[…] è per questo che motivo che ritengo molto efficace la modalità formativa esperienziale (soprattutto in versione Outdoor) piuttosto che l’aula frontale.
Sarei curioso di conoscere la tua opinione.

Eccola:

Credo anch’io che la modalità formativa esperienziale presenti una serie di vantaggi rispetto all’aula frontale.

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Formazione vs Esperienza, oppure no?

Mi capita spesso in questi giorni di leggere e di discutere del tema che potremmo riassumere con la domanda: “Che cosa è più importante? La formazione (e lo studio) o l’esperienza?”.

A questa domanda rispondo con una citazione (di cui non ricordo la provenienza):

In genere i giovani tendono a sopravvalutare l’importanza dello studio, gli anziani l’importanza dell’esperienza.

Nello scrivere questo post di qualche giorno fa, però, mi è venuto da riflettere sul fatto che c’è una bella differenza tra il vivere una determinata situazione e trarne un’esperienza utile, visto che mi pare evidente che non sempre massimizziamo il potenziale di apprendimento legato alle situazioni che ci capita di incontrare.

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Tony Ciccione e il dottor John

La scorsa settimana ho assistito alla presentazione di una ricerca sugli assetti organizzativi delle PMI italiane.
Progetto interessante, con aspetti davvero innovativi, ma che, nel suo impianto generale, mi ha suggerito alcune riflessioni critiche.
L’approccio alla ricerca mi ha ricordato la famosa analogia delle piccole e medie imprese italiane con il calabrone. Le leggi della fisica e dell’aerodinamica dicono che non potrebbe volare, ma, al contrario, la realtà dimostra che il calabrone vola, eccome.
Perché?
La risposta è che il calabrone vola perché non conosce l’aerodinamica. Quindi lo fa e basta.

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