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Tra diteggiatura e interpretazione

Mi succede spesso, durante i miei percorsi formativi sulla comunicazione, di raccontare questo episodio:

Mi è capitato, una volta, di assistere alle esercitazioni di una pianista.
Ha iniziato la sua sessione di training eseguendo alcuni esercizi di diteggiatura, con i quali si allenano la forza e il movimento delle dita.

Poi, dopo una buona mezz’ora, ha attaccato con l’interpretazione di un notturno di Chopin. Alla fine dell’esecuzione, pur capendo molto poco di musica, mi sono fatto spiegare il perché di alcune scelte rispetto alla velocità di esecuzione, e alla forza di alcuni passaggi.

Le spiegazioni della pianista davano un senso al termine “interpretazione”. Il pianoforte e la musica di Chopin erano, in quel momento, un modo di esprimere se stessa. Ho colto qualcosa di molto denso dietro a quelle parole…

Allora, mi è sorta una domanda: che cosa c’entra tutto questo con un esercizio tecnico ripetitivo come la diteggiatura?

La sua risposta mi ha raccontato qualcosa del mio mestiere: “La diteggiatura, mi ha detto, serve per fare in modo che, quando eseguo un notturno di Chopin, le mani possano stare dietro alla testa e al cuore”.

Mi pare che, anche in ottica di comunicazione, questa piccola storia possa raccontare qualcosa del rapporto tra tecnica e interpretazione.

Metafore in aula (e non solo)

Su “Learning News” (newsletter di AIF) di agosto, un breve e interessante articolo di Giulio Scaccia sul ruolo della metafora in ambito formativo.
Ho già dato alcuni stimoli sul ruolo delle metafore e delle storie nella comunicazione in generale e nel public speaking in particolare in questi articoli:

Riprendo alcuni concetti chiave di Scaccia che mi paiono interessanti:

  • in ambito formativo, si agisce sull’apprendimento (e sul cambiamento) a livelli diversi:
    la teoria stimola l’apprendimento cognitivo
    le esercitazioni agevolano l’apprendimento esperienziale
    le metafore e gli aforismi provocano l’apprendimento intuitivo
    il successo di un’azione formativa dipende in parte anche dalla corretta calibrazione di questi livelli
  • in particolare nell’utilizzo di metafore, il linguaggio ha una funzione fondamentale e la forza suggestiva delle parole diventa vero e proprio strumento di apprendimento e di cambiamento.
    La parole devono quindi avere il potere di facilitare associazioni e trasferimenti mentali verso “regioni” semantiche ed esperienziali potenzialmente ricche di futuri sviluppi;
  • la metafora porta alla condivisione, all’intreccio di obiettivi e aspettative tra il formatore e i partecipanti, nell’ottica di trasferire visioni e valori senza imposizione;
  • le metafore funzionano perché:
    • parlano all’inconscio
    • usano un linguaggio universale
    • presentano opzioni
    • non attaccano direttamente il problema o le persone
    • risvegliano risorse sopite
    • rendono più consapevoli
  • In aula la metafora può essere usata in vari modi:
    • in apertura: per segnare il percoso e creare stati diversi (curiosità, motivazione, fiducia)
    • in chiusura: per lasciare aperte delle domande, o per fissare dei contenuti
    • prima o dopo un concetto: per fornire una visuale più ampia, più ricca, o semplicemente diversa
  • Il formatore deve avere la capacità di cogliere il momento migliore per usare la metafora, quando i partecipanti sono più disposti ad entrare in questa dimensione analogica e simbolica.

Certo, come abbiamo già visto più volte su questo blog, l’utilizzo di metafore e storie (in ambito formativo, ma, più in generale, nella comunicazione) ha a che vedere con il mondo della tecnica, ma anche (e forse di più) con il mondo dell’arte.


Sul tema del public speaking e di come costruire una strategia di comunicazione in pubblico ho scritto un libro: Il design delle idee (Egea Editore). Più informazioni qui