Tra diteggiatura e interpretazione
Mi succede spesso, durante i miei percorsi formativi sulla comunicazione, di raccontare questo episodio:
Mi è capitato, una volta, di assistere alle esercitazioni di una pianista.
Ha iniziato la sua sessione di training eseguendo alcuni esercizi di diteggiatura, con i quali si allenano la forza e il movimento delle dita.Poi, dopo una buona mezz’ora, ha attaccato con l’interpretazione di un notturno di Chopin. Alla fine dell’esecuzione, pur capendo molto poco di musica, mi sono fatto spiegare il perché di alcune scelte rispetto alla velocità di esecuzione, e alla forza di alcuni passaggi.
Le spiegazioni della pianista davano un senso al termine “interpretazione”. Il pianoforte e la musica di Chopin erano, in quel momento, un modo di esprimere se stessa. Ho colto qualcosa di molto denso dietro a quelle parole…
Allora, mi è sorta una domanda: che cosa c’entra tutto questo con un esercizio tecnico ripetitivo come la diteggiatura?
La sua risposta mi ha raccontato qualcosa del mio mestiere: “La diteggiatura, mi ha detto, serve per fare in modo che, quando eseguo un notturno di Chopin, le mani possano stare dietro alla testa e al cuore”.
Mi pare che, anche in ottica di comunicazione, questa piccola storia possa raccontare qualcosa del rapporto tra tecnica e interpretazione.