Individualismi

Proseguo il ragionamento sull’incontro alla School of Management del Politecnico di Milano con Roger Abravanel, Andrea Guerra, Roberto Nicastro.
È emerso più volte durante la discussione un tema che mi è parso rilevante: quello degli italiani come popolo antropologicamente caratterizzato da individualismo e incapacità di visione collettiva (ho sentito citare, dopo molti anni, il familismo amorale di Banfield).

È stato Nicastro ad introdurre il tema (cito a memoria):

Quando Roger Abravanel svolge il suo ragionamento sul “Piccolo non è bello, piccolo è brutto”, c’è dietro l’elevazione sul podio che nel nostro Paese viene sistematicamente fatta del concetto di individuo. Non serve andare a ripescare (ma a chi non l’abbia fatto suggerisco di leggere il saggio del 1958 di Banfield) il concetto di familismo amorale, che ancora a distanza di cinquant’anni la dice lunghissima sul modo con cui in Italia si ragione sull’individuo e la famiglia da una parte e sulla società dall’altra. In realtà, quando sentiamo un ragionamento come quello sul circolo vizioso sulle regole, ci vediamo tanta Italia dentro. Il concetto di truffare l’assicurazione dal meccanico è quasi un peccato veniale nel nostro Paese. Però questo mostra in maniera chiara un problema di società, che poi porta a pensare che l’individuo può essere perdonato, che l’individuo è bello.

Ecco, questa tesi dell’individualismo come tratto antropologico mi trova in completo disaccordo. E non necessariamente perché non sia vera. Non ho elementi per valutarne la consistenza.

Sono le conseguenze di questa tesi che mi spaventano. Mi sembra un alibi insuperabile, che giustifica proprio quell’immobilismo delle classi dirigenti che Nicastro aveva stigmatizzato pochi istanti prima.
Il ragionamento di Abravanel, in questo senso, mi è parso esattamente opposto (e ne ho avuto la conferma durante il dibattito successivo): sono le strutture di regole e meritocrazia che influenzano il tratto culturale.

Per dirla in un altro modo, per vincere l’individualismo serve una di queste due cose:

  • un nemico sufficientemente pericoloso (o dipinto come tale) alle porte (ma, come ho già scritto qui, si tratta di una strategia di breve periodo), tale da giustificare la “chiamata alle armi” e il sacrificio del proprio individualismo alla causa della difesa comune
  • un progetto credibile e convincente, portato avanti con coerenza, in grado di muovere le persone in un quadro di regole condiviso.
È, quindi, una questione di leadership. E questo vale sia a livello macro (Paese, società) che a livello micro (gruppo o team).
Quello dell’individualismo come tratto antropologico (per i popoli) o come tratto della personalità (per gli individui) è un autoinganno che genera muri invalicabili al cambiamento proprio perché, in qualche misura, arriva a giustificarne le resistenze. Avrei decine di esempi da portare. Ma, forse, e sufficiente che ciascuno di noi pensi alle proprie esperienze di vita sociale o di gruppo.
7 commenti
  1. Luca Leonardini dice:

    I modi che hai citato per vincere l’individualismo sono molto validi, ma non credo siano gli unici.
    Entrambi sono fattori esterni agli individui, in entrambi i casi il cambiamento dipende da un agente esterno.
    Invece io penso che sia una importante battaglia culturale, quindi una campagna a lungo termine, da svolgere sul piano individuale. Ciascuno ha in se il potere di cambiare ciò che lo circonda se non lo condivide. Basta agire. Basta passare all’azione nelle cose più semplici.
    Un esempio? In questi giorni sono in Germania e sai cosa constato ogni giorno? Non vedi nessuno (se non rarissimamente) attraversare fuori dalle strisce pedonali. Da sempre gli adulti danno il buon esempio ai bambini e i bambini crescono consapevoli dell’importanza di osservare queste piccole regole: risultato tutti attraversano solo sulle strisce e aspettano che arrivi il verde.
    In Italia? … Tutti attraversano dove vogliono quando vogliono con i bambini per mano o in carrozzina. Quale esempio pensiamo che possano trarre i nostri bambini da questo comportamento incivile? Come pensiamo che si comporteranno domani che saranno adulti e avranno i loro figli?
    Per me l’inizio si trova dentro ciascuno di noi, ciascuno è responsabile di portare un buon esempio; per questo è non crearsi troppi alibi.

  2. Luca Baiguini dice:

    Commento interessante, Luca. Grazie.

    Una domanda: come si comportano i tedeschi in Italia? Allo stesso modo? E per quanto tempo?
    Sono provocazioni (è un argomento che non si esaurisce senza dubbio in poche righe…). Quello che intendo, però, è sottolineare l’importanza di un “sistema” di regole contro la visione “antropologica”. Ripeto: non so se sia giusta o meno. Quel che so è che, nella mia esperienza, non funziona…

  3. Luca Leonardini dice:

    L’argomento non è esauribile in poche righe di commento, comunque sintetizzando, il “noi” al quale faccio riferimento è il “noi” di noi Italiani (perché sono italiano e mi rivolgo in italiano a degli italiani), ma in realtà per noi intendo ciascun individuo al di là delle frontiere nazionali, ciascun essere umano.
    Inclusi i “crucchi” quando arrivano in Italia e fanno i barbari o ci considerano i soliti “italiani-pizza-mafia-mandolino”. 😉

  4. angelo dice:

    Sono d’accordo con entrambe le regole che citi.Infatti:Resistenza,ricostruzione,industrializzazione e diffusione della lingua italiana;autunno caldo e movimenti studenteschi ed infine lotta al terrorismo hanno costruito una nazione.Poi sono arrivati:la cultura dello yuppismo con il miraggio dei soldi facili in borsa,unitamente all’aumento vertiginoso delle cause civili;della Milano da bere e della barca va!Senza sapere da che parte arrivava il vento.La corruzione all’insegna del così fan tutti,perciò nessun colpevole.Infine la TV commerciale,RAI compresa, e la completa deregolarizzazione del sistema paese all’insegna del fate tutto ciò che non è vietato.Insomma:arrangiatevi come potete!

  5. Luisa dice:

    Interessante l’intervento di Luca Leonardini, perchè avvalora la tesi che porto avanti da anni nella città dove vivevo fino a poco tempo fa: Firenze. Una bellissima città d’arte dove però i turisti sono tanti e lasciano tanto sporco. Tedeschi, inglesi, americani…e ovviamente anche gli extracomunitari che ci vivono fanno la stessa cosa. Facevo parte di un Comitato di quartiere e alle riunioni sentivo sempre gli stessi discorsi, le solite lamentele. Era sempre colpa dei turisti e alla fine anche degli extracomunitari…mai dei fiorentini. Io ho sempre combattuto questa tesi perchè non ho mai visto un fiorentino riprendere un turista o un extracomunitario quando gettava qualcosa in terra. Anzi, ho visto i fiorentini gettare la carta per terra, far fare la cacca ai cani sul marciapiede. E allora mi dico: come si può pensare che uno straniero che arriva a Firenze rispetti la città quando vede gli stessi cittadini sporcarla? Ed ecco che mi riallaccio al discorso di cultura e di esempio che faceva Luca. In Inghilterra avete mai visto un extracomunitario che butta qualcosa per terra? Io sì, e immediatamente ho sentito un inglese che lo rimproverava e che gli diceva di raccoglierla. E’ da anni che mi chiedo: perchè noi italiani siamo così? Perchè siamo così individualisti e non amiamo il “bene comune” come lo fanno gli atri cittadini europei? Pure gli spagnoli sono più rispettosi si noi…Forse allora il tratto antropologico potrebbe spiegare la cosa…non so, ci penserò. Ma grazie per la riflessione!

  6. Luisa dice:

    Sistema di regole…sarebbe bello! Ma sei proprio sicuro che funzioni?
    Anche in questo caso ho osservato da sempre in Italia un’allergia acuta al rispetto delle regole (pagare le tasse, rispettare i limiti di velocità, fare gli scontrini e le fatture).
    Ora vivo in Francia e ti posso assicurare che per molti versi non siamo tanto distanti dai francesi.
    Quello che ci differenzia appunto sono: rispetto del bene pubblico e rispetto delle regole, che qui sono due principi base, ormai nel DNA di ogni cittadino!

  7. Luca Baiguini dice:

    Grazie a tutti per il dibattito, davvero interessante.
    Quello che ho cercato di sottolineare è come pensare che l’individualismo è un tratto antropologico non apre a possibili soluzioni. Resto convinto che l’ambiente esterno percepito modifichi profondamente i comportamenti (vedi la “Teoria delle finestre rotte”, e che questa prospettiva sia più produttiva rispetto alla visione antropologica.

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