Delle regole e delle possibilità
Ieri, alla School of Management del Politecnico di Milano, un interessante incontro con Roger Abravanel, Andrea Guerra, Roberto Nicastro.
Si parlava di come conciliare crescita ed austerità.
Oggi riassumo un paio di concetti espressi da Abravanel che mi hanno solleticato. In un prossimo post, invece, mi dedicherò ad una questione di fondo che, un po’ sottotraccia, ha percorso il dibattito e che mi pare meriti un discorso a sé.
Le due idee di Abravanel hanno a che vedere con il tema delle regole (argomento del suo ultimo libro) e con quello delle possibilità di ripresa del nostro Paese.
Sulle regole, ecco, più o meno, che cosa dice Abravanel:
in un sistema sano (Abravanel parla di “capitalismo moderno”, ma mi pare che il concetto possa essere esteso), non è vero che le regole nascono sempre giuste ed eque.
Nascono spesso sbagliate esattamente come in un sistema bacato.
La differenza è che vengono rispettate comunque, e questo crea la possibilità di cambiare le regole per migliorarle tenendo presente l’obiettivo per cui queste regole sono nate.
In un sistema bacato, le regole nascono sbagliate ed inique.
Questa volta, però, non vengono rispettate.
Nascono, quindi, nuove regole che hanno come obiettivo non un sistema migliore, ma la punizione di chi non rispetta le regole.
E queste regole sono, per lo più, assurde.
Il circolo vizioso prosegue: regole assurde generano legittimazione per chi non le rispetta e, di conseguenza, un gran numero di individui che non le rispettano.
A questo punto è impossibile punire tutti coloro che non rispettano le regole, e l’avvitamento del sistema è garantito.
Mi pare che questo valga sia a livello macro (di società o di Paese), ma anche a livello micro (di gruppo, di azienda, di organizzazione).
Il mancato rispetto di regole non giuste ed eque, paradossalmente, genera un problema molto maggiore di quello che risolve, perché crea un contesto nel quale non è più possibile migliorare le regole tenendo presente l’obiettivo per cui sono nate.
La seconda idea (che, più che un’idea, è una provocazione) è la conclusione del suo intervento: non tutto è perduto, proprio perché abbiamo grandi sacche di inefficienza.
Cito a memoria:
Noi ne possiamo uscire. Ne possiamo uscire anche meglio rispetto agli Stati Uniti. Gli Stati Uniti, per esempio, sulle università non possono fare molto perché sono private, sull’evasione fiscale non possono fare nulla, perché pagano le tasse, sulla flessibilità del mercato del lavoro non possono fare nulla, perché hanno un mercato del lavoro flessibile. Noi abbiamo un sacco di gradi di libertà.
Umberto Bertelè ha chiosato l’intervento citando un alto dirigente che, si narra, disse ad Agnelli, durante una delle crisi della Fiat, “abbiamo così tante cose da mettere a posto, che siamo fortunati“.
Non è granché, forse è un po’ autoconsolatorio, ma, con i tempi che corrono, mi pare già qualcosa…
Ciao Luca, in un momento come questo autoconsolarsi un po’ non guasta di certo. I margini di manovra per il miglioramento nel nostro adorato Paese sono ampi, concordo pienamente con te. Mi permetto di aggiungere un incoraggiamento girandoti il mio ultimo post ).
un caro saluto,
Luca