Narrazioni politiche, nemici e costruzione dell’identità

La lettura quasi contestuale di questi due post (1 e 2) di Alfonso e di questo articolo del New York Times (ripreso anche da La Stampa) mi ha fatto riflettere (di nuovo) su una questione su cui sto insistendo da un po’: se è vero (come sostiene Drew Westen) che

Le storie che i nostri leader ci raccontano contano probabilmente quasi quanto le storie che i nostri genitori ci raccontano da bambini, perché ci orientano su come stanno le cose, come potrebbero andare e come dovrebbero andare; sulla visione del mondo di cui sono portatori e sui valori che considerano sacri. I nostri cervelli si sono evoluti per “aspettarsi” storie con una particolare struttura, con dei protagonisti e dei cattivi, una salita da scalare o una battaglia da combattere. La nostra specie è esistita per più di 100.000 anni prima dei primi segni di alfabetizzazione, ed altri 5.000 anni sono passati prima che la maggioranza degli umani imparasse a leggere e scrivere.

Le storie sono il primo modo con cui i nostri antenati hanno trasmesso conoscenze e valori.

allora, non esiste leadership senza narrazione.

Ora, lasciando da parte per un attimo il caso di Barak Obama (su cui magari tornerò per un commento più esteso in un post successivo), mi pare che le considerazioni di Alfonso riportino al fatto che le narrazioni nostrane poggiano completamente su uno degli elementi cardine della struttura narrativa illustrata da Westen: i cattivi. Per cui la costruzione identitaria che passa attraverso la narrazione è soltanto costruzione per differenza rispetto al cattivo (al nemico) di turno.

L’ossessione-compulsione è, quindi, sempre quella di “distinguersi” dall’altro. L’ammettere una qualche identificazione con le idee dell’altra parte (quale che sia il merito), porta (dentro a questo modello di interazione) a sentire intaccata la propria identità.

Mi sembra che sia, questa, l’eredità più negativa di questi ultimi quindici anni di politica in Italia.

Ed il fatto che gli appelli di Napolitano sappiano di vox clamantis in deserto è proprio conseguenza di questo modello, per cui nessuna delle due (o tre) parti è più in possesso della capacità di costruire una narrazione a tutto tondo, nella quale il nemico gioca il suo ruolo, ma un ruolo forte sono in grado di giocare anche i protagonisti, e la salita da scalare, l’obiettivo da portare a casa.

Sono convinto che chi saprà riprendere il filo di questa narrazione potrà ridare una vera speranza a questo Paese.

 

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