Il prezzo del feedback
Uno degli articoli più commentati e letti in questi giorni tra i blog di Harvard Business Review è questo di Peter Bregman.
L’ho trovato interessante, per tre aspetti.
Il primo ha a che vedere con il messaggio di fondo dell’articolo: chiedere suggerimenti e feedback su un proprio lavoro presenta molti vantaggi, ma ha anche dei costi.
Il più rilevante di questi costi è la perdita di sicurezza in sé. La conseguenza di questa perdita è che, spesso, ci appiattiamo sui desideri, le preferenze, le aspettative altrui, perdendo la nostra autenticità. Su questa strada si può arrivare alla paralisi creativa, e all’incapacità di fare scelte controcorrente.
Il secondo aspetto interessante: l’esempio da cui Bregman parte.
Racconta un episodio: siamo durante una commemorazione, vari relatori sono già intervenuti, la platea è in preda ad un calo di attenzione.
Quando arriva il suo turno, Jerry Hoosen Coovadia decide di catturare l’attenzione rivoluzionando completamente il proprio intervento e dimostrando, in questo modo, da un lato flessibilità, ma dall’altro anche una grande sicurezza nei propri mezzi espressivi.
Durante i corsi sul public speaking, nei quali viene sviluppata una strategia per la comunicazione in pubblico, una delle domande più frequenti è:
Non è che preparare una strategia dettagliata per un intervento in pubblico toglie flessibilità?
La mia risposte è, invariabilmente:
Una strategia la può cambiare chi ce l’ha, non chi non ce l’ha.
L’assenza di strategia non porta flessibilità, porta soltanto improvvisazione (nell’accezione negativa del termine).
Terza ed ultima idea, dall’ultima parte dell’articolo di Bregman, quando descrive di come, mentre preparava uno speech per TEDx, l’eccessiva ricerca di feedback e di consenso lo avesse privato della sicurezza delle sue argomentazioni e delle sue possibilità di fare un buon lavoro.
C’è un rimedio semplice – prosegue – all’insicurezza nell’essere sé stessi: smettere di chiedere.
Piuttosto, prenditi il tempo, e la calma, per decidere che cosa pensi. È così che ritroviamo la parte di noi stessi a cui abbiamo rinunciato. È così che diventiamo efficaci, creativi, intelligenti e profondi. È così che troviamo il nostro punto di vista. […]
Non sto suggerendo di ignorare i feedback. È utile conoscere le reazioni degli altri al nostro lavoro. Dopo aver completato la mia revisione, ho provato lo speech molte volte davanti ad audience diverse.
Ma questa volta non ho chiesto loro di commentare il mio messaggio. Ho chiesto loro di commentare il modo in cui lo comunicavo. Che cosa traevano dal mio discorso? Stavo trasmettendo il mio messaggio in modo da riuscire a comunicare la mia passione?
Ecco, mi pare interessante questa distinzione, nella raccolta dei feedback, tra il contenuto dei messaggi e il processo di delivery degli stessi. Ancora una volta, per raccogliere feedback di qualità bisogna saper porre le domande giuste.
Ciao Luca,
il feedback è uno strumento che sto utilizzando molto spesso, e per questo leggo con estremo interesse il tuo Post.
Mi permetto di lasciare un paio di mie idee:
– in merito al primo aspetto da te analizzato: il rischio di perdere sicurezza è reale; personalmente evito il problema considerando il feedback degli altri come un nuovo punto di vista da sommare (non da sostituire) al mio, in questo modo ritengo di ottenere una visione più ampia.
– in merito al terzo aspetto: mi chiedo se è efficace chiedere feedback in fase di preparazione di uno speech: non è forse meglio chiederli dopo lo speech stesso ?
Ciao
Risuona molto con la frase che sento dire ad un amico coach: “chiedi feedback se il feedback è corretto e utile lo si capisce se non lo senti così semplicemente scartalo…
E’ anche, a mio avviso, un buon trucchetto per aggirare la paura/costo di chiedere feedback. Spero sia utile. Ciao.