La storia da raccontare

Mi sono riascoltato un intervento di Malcolm Gladwell (chi legge questo blog conosce il mio debole per questo autore) tenuto a TED.
Parla del sugo per gli spaghetti.
L’ho riascoltato perché in questi giorni mi viene da pensare alla questione delle piccole cose. Ne ho scritto nel mio post precedente, precisando il mio dubbio che la ricerca di un significato (o di una lezione, se la vogliamo dire così) dietro ad episodi minimi non sia un eccesso di analisi (e che, forse, fare economia di pensiero non sarebbe poi tanto male).
Ora, Gladwell, invece, fa esattamente il contrario.
Da piccole storie, trae insegnamenti spesso contro-intuitivi e, comunque, sempre stimolanti.
Converrete che partire dall’analisi del mercato dei sughi per spaghetti per arrivare a concludere che

è abbracciando la diversità tra gli uomini che troveremo una strada più sicura che ci porti verso la felicità

è un salto acrobatico degno del Circo Barnum.

Ecco, io non riesco a resistere a questi salti, e a quel tanto di pop che portano con sé.
E allora sono andato anche a rileggermi un brano dell’introduzione al libro What the dog saw – and other adventures, nel quale Gladwell raccoglie alcuni dei suoi più riusciti contributi per The New Yorker.
Ci ho trovato un paio di note sul suo processo creativo:

Il trucco per trovare nuove idee è di autoconvincersi che tutte le persone e le cose hanno una storia da raccontare. Ho detto trucco, ma intendevo dire sfida, perché si tratta di una cosa difficile. Il nostro istinto, come esseri umani, è quello di assumere che la maggior parte delle cose non sono interessanti. Saltiamo da un canale all’altro della TV e ne scartiamo dieci prima di sceglierne uno. Andiamo in un negozio di libri e sfogliamo venti romanzi prima di trovare quello che vogliamo. Noi filtriamo, ordiniamo, giudichiamo. Dobbiamo farlo. C’è così tanto là fuori. Ma se vuoi fare lo scrittore, devi combattere questo istinto ogni giorno. Lo shampoo sembra non essere interessante? Beh, accidenti, lo deve essere, e se non lo è, devo credere che alla fine mi condurrà a qualcosa che lo è.

E poi, più avanti

Niente mi frustra di più di qualcuno che legge qualcosa di mio o di qualcun altro e commenta, arrabbiato “Non mi convinci”. Perché sono arrabbiati? Il buono scrivere non ha successo o meno sulla base della forza della sua abilità di persuasione. Non il tipo di scrittura che troverete in questo libro, almeno. Ha successo o fallisce sulla base della sua capacità di coinvolgervi, di farvi pensare, di farvi dare un’occhiata dentro ad una testa altrui – anche se alla fine concluderete che quella testa non è un posto in cui volete stare.

Ecco, questi due brani mi sembrano una buona sintesi di un modo di vedere le piccole cose, e forse, di un modo di fare anche il mio mestiere di formatore.
Che, visto così, potrebbe avere anche una sua forma di spiritualità…

Che ne dite?

4 commenti
  1. Dragan Bosnjak dice:

    Ciao Luca,

    Anch’io leggo con molto piacere Malcolm Gladwell e l’ultimo libro che ho letto è stato Outliers nel quale, come dici tu, si parte da una storia semplice e poi si arriva a concludere che non esistono i veri geni in questo mondo, solo coloro che hanno avuto la fortuna di arrivare al massimo della loro capacità (ossia 10000 ore di esercizio in una determinata attività) in un momento particolare in cui avevano la fortuna di incassare questa loro abilità acquisita…
    Le sue storie sono sempre intriganti e spesso contro-intuitive, ma comunque sempre supportate dai dati e fatti realmente accaduti che, tutto sommato, fa pensare e non poco…

  2. Giulia Cerrone dice:

    Ho letto e riletto con interesse la tua “storia da raccontare”: mi convince, mi convince molto. Quello che dice Gladwell, quello che aggiungi tu di tuo.
    Mette a fuoco qualcosa che sperimento continuamente: un libro, una rappresentazione, un comportamento, un atteggiamento, che si discosti dalla mia prospettiva, è quello che mi permette di inoltrarmi in uno spazio nuovo. Posso poi decidere di tornare nel mio spazio “noto”, ma sarò più ricca, più consapevole, il mio mondo sarà più vasto.
    Vivo il mio lavoro di formatrice come un incessante viaggiare: ogni aula è un paese diverso, che sperimenterò solo se lascerò entrare proprio quello (segnali deboli?)che mi indurrà ad uscire dal mio binario/filtro, se mi lascerò attrarre dalle tracce dell’insolito: come quando si va per funghi e per trovarli bisogna uscire dai sentieri segnati.
    Grazie
    Giulia

  3. roberta da Roma dice:

    grazie per questi spunti fantastici di riflessione,mi entusiasmo a camminare a passo lento nel quotidiano del mio lavoro, nella vita mia e in quella di chi mi sta vicino.
    La riflessione, non sempre facile, sulle cose che ci stanno intorno permette di scoprire nuovi sapori e profumi che, forse, avvicinano veramente alla felicità(cito Gadwell), e probabilmente non è tanto importante a quali conclusioni si arrivi quanto il fatto stesso di “essersi fermati ad ascoltare” : è inebriante. Grazie di cuore.

  4. Luca Baiguini dice:

    Grazie a tutti per i commenti.
    Discutendo in aula questa cosa, qualche giorno fa, è venuta fuori una questione interessante sullo storytelling. Che, cioè, molti bravi narratori da piccole storie traggono grandi e complesse morali, e il contrario, da storie epiche traggono morali semplici e dirette… non so, per me vale la pena approfondire!

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