Lo sviluppo delle risorse umane, la competitività e il principio del midsize

Tra qualche giorno terrò una relazione sul rapporto tra sviluppo delle risorse umane e competitività.
Sto, dunque, riflettendo su questo tema.
Il punto è questo: la formazione e lo sviluppo delle risorse umane rappresentano in sè una fonte di vantaggio competitivo, oppure il meccanismo è più complesso?
Credo sia valida la seconda ipotesi, e cerco di esprimere il perché utilizzando un’analogia creata da Edoardo Lombardi Vallauri: il principio del midsize.

Negli anni ’70, quando io ho iniziato a giocare a tennis, le racchette avevano un formato del piatto corde standardizzato e di piccole dimensioni. A metà degli anni ’80 il progresso dei materiali di costruzione delle racchette ha consentito di realizzare dei piatti corde più grandi: gli oversize ed i midsize. Questi ultimi si sono poi affermati come formato ideale.
Per un certo periodo, quindi, hanno convissuto racchette tradizionali e racchette midsize.
In che cosa consisteva il vantaggio delle racchette midsize rispetto alle racchette tradizionali (vantaggio che ne ha consentito la totale affermazione, visto che oggi nessuno più gioca con racchette di formato tradizionale)?
Non nel fatto che chi le usava avesse un vantaggio competitivo rispetto agli altri: in questo modo si semplificherebbe eccessivamente la questione.
Mi succedeva, infatti, quando io ancora possedevo una racchetta tradizionale, di giocare con avversari che avevano adottato il midsize. Ebbene, se io ero più forte di loro, vincevo comunque (e perdevo se gli avversari erano più forti di me). L’utilizzare il midsize, quindi, non rappresentava di per sè la garanzia di avere un vantaggio su chi non lo utilizzava (altrimenti tutti si sarebbero immediatamente precipitati ad acquistare un midsize).
Ciò che ha imposto il midsize sul mercato è stato il fatto che chi provava il midsize poi non poteva più tornare indietro. Cioè, chi iniziava a giocare con una racchetta midsize non giocava meglio rispetto a quando giocava con una racchetta tradizionale, ma, se poi tentava di tornare indietro, si accorgeva di non riuscire più ad esprimere le proprie capacità di gioco.
L’adozione del midsize era un po’ come una nassa, una di quelle trappole per pesci con alla base un’apertura a imbuto dal bordo rovesciato all’interno, in modo che il pesce, una volta entrato, non riesca più a uscire.

Ecco, credo che il rapporto tra formazione e sviluppo delle risorse umane e vantaggio competitivo funzioni un po’ come il principio del midsize.
Sarebbe una semplificazione eccessiva affermare che chi investe in formazione e sviluppo delle risorse umane acquisisce in automatico un vantaggio competitivo (come l’adozione del midsize non garantiva la vittoria), ma è vero che chi intraprende questa strada non può più tornare indietro, perché questo diventa l’unico modo per poter competere.
Naturalmente (al contrario che per il tennis), ci sono una serie di forze esterne che spingono verso questa nassa (un sociologo le potrebbe spiegare molto meglio di quanto farei io).
Sta di fatto, però, che una volta che un’azienda, un’organizzazione, ma anche una società, si è incamminata per questa via, è inutile guardarsi indietro: si può solo andare avanti.

Questo, in estrema sintesi, il concetto con cui vorrei aprire il mio intervento.
Che cosa ne dite?
Avete suggerimenti?

 

Update: ecco la seconda parte di questa riflessione

4 commenti
  1. Luca dice:

    Ciao Luca,
    credo anch’io che sia valida l’ipotesi di una correlazione non così diretta ed automatica tot di investimento, tot di ritorno.
    Il tasso di ritorno sull’investimento formativo è un po’ più difficile di quanto si possa fare con i macchinari.
    Allo stesso tempo la metafora del midsize mi fa pensare più ad una spinta esterna, ad una scelta subita più che voluta.
    E questo rischia di fare la differenza in termini di efficacia.
    La formazione ha senso quando è dentro un processo di crescita condivisa e integrata dell’azienda, come sistema e come sfide, e delle persone che le devono concretamente raccogliere.
    E quindi la formazione o più in generale lo sviluppo delle persone in azienda non può essere separata da una visione strategica e tattica di come si muoverà l’azienda.
    Altro aspetto è la complessità data dagli attori in gioco.
    Se non posso aiutare chi non vuole essere aiutato, altrettanto è vero che non posso formare chi non vuole essere formato. ovvero al contrario, anche se io come azienda non mi attivo per formare è la persona che si prende il suo percorso di sviluppo in mano e valuta quanto il lavorare in questa azienda gli permette di crescere.
    Buone riflessioni e buon lavoro.
    Luca

  2. Nicola Menicacci dice:

    Caro Luca,
    mi dispiace soltanto adesso di aver letto questo tuo messaggio; non che avrei potuto suggerire niente di meglio rispetto alla metafora da te scelta, ma avrei forse sottolineato un fatto: il principio del midsize è universale. Quando si stabilisce un nuovo standard alla fine non si torna indietro, o meglio ancora chi lo fa lo fa per motivi diversi da quelli che ci hanno spinto ad andare avanti ed abbracciare il nuovo standard. Te lo dice uno che, come ben sai, per radersi da tre anni usa il rasoio a mano libera, che sta al rasoio come neanche il midsize, ma addirittura il profile sta alla tradizionale racchetta in legno.
    Il principio del midsize consente davvero un salto di qualità; tuttavia dà la possibilità anche a chi, nel vecchio sistema, non avrebbe potuto raggiungere determinati livelli, di farlo. Boris Becker, il vero primo fenomeno del midsize, con una racchetta di legno sarebbe rimasto nel novero dei giocatori buoni ma mai eccelsi, nonostante le sue qualità. O almeno non avrebbe vinto tanto quanto gli ha permesso una racchetta in grafite. Vero è anche che McEnroe, il primo grande tennista a cavallo delle due ere, dal midsize ha avuto tanti vantaggi ma si è anche visto bombardato da tanti onesti “fabbri” che adesso potevano picchiare, Lendl in testa.
    Ben venga il midsize, perché eleva il livello delle cose. Ben venga però anche il coltivare una sezione “di legno pregiato”, affinché il fattore che fa la differenza possa continuare ad essere individuato con certezza e venire meno attribuito a chi ha risultati ma, in fondo, di quel fattore non è totalmente pieno.

  3. Luca dice:

    Caro Nicola, grazie per il tuo contributo, che sottoscrivo. Quello che voglio sottolineare è che il legame tra formazione e sviluppo delle risorse umane e generazione di un vantaggio competitivo non è così diretto come qualcuno vuole far credere… facendo salvi naturalmente tutti quegli elementi che fanno la differenza, anche sottili, tra un lavoro ben fatto (e anche qui parlo di formazione) e un lavoro mediocre…

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