Logiche di decision making

Un breve basic sulle due possibili logiche sulle quali si basa un processo decisionale, e sugli elementi che entrano in gioco:

  1. La logica della conseguenza
  2. La logica dell’appropriatezza

La logica della conseguenza

Si tratta di quella logica perseguita dalle procedure di decision making razionali, che pongono la scelta nei termini di risposta a quattro questioni fondamentali:

  1. Le alternative possibili
  2. Le aspettative, cioè le conseguenze attese di ciascuna delle alternative e la probabilità del verificarsi di ciascuna di queste conseguenze
  3. Le preferenze, cioè il valore attribuito dal decision maker a ciascuna delle alternative
  4. Le regole di scelta: le modalità con cui viene effettuata una scelta tra le varie alternative in gioco

Si tratta di una logica razionalistica, che sta alla base dei modelli microeconomici di allocazione delle risorse.

La logica dell’appropriatezza

Un secondo tipo di logica è, invece, quello dell’appropriatezza, che sta alla base delle decisioni assunte sulla base dell’identità, secondo regole e procedure considerate appropriate al contesto.
In questo caso la decisione si basa su questioni che hanno a che vedere:

  1. il riconoscimento della situazione e del contesto
  2. l’identità del decisore o dell’organizzazione
  3. le regole ritenute appropriate in quel contesto per quel decisore in quell’organizzazione

Secondo la logica dell’appropriatezza, quindi, un processo di decision making non avviene in maniera neutra, ma all’interno di ruoli e di copioni dettati da regole e consuetudini.

In un certo senso, si potrebbe dire che entrambe le logiche potrebbero essere un caso particolare dell’altra (la conseguenza come caso particolare dell’appropriatezza e viceversa).
Mi pare utile, comunque, conoscere queste due logiche e considerarle in un’ottica di complementarietà nello spiegare il processo (sempre complesso) che porta all’assunzione delle decisioni.

Altri post della rubrica basics si trovano qui

1 commento
  1. Stefano Gallone dice:

    Ciao Luca,

    ho letto entrambi i tuoi post sul decision making e li ho trovati interessanti.

    Personalmente ho riscontrato il seguente principio: se l’obiettivo è stato definito con chiarezza, le decisioni sono semplici. Se l’obiettivo è definito in modo più o meno vago, le indecisioni arrivano proprio sui punti non chiari.
    Quindi il problema si sposta sul ridefinire o chiarire ciò che nell’obiettivo era vago, e quindi arrivare ad una decisione.

    Ti faccio un esempio: quando mi sono sposato con mia moglie non riusciamo entrambi a scegliere gli elementi per organizzare cerimonia e festa: quale sala comunale, quale ristorante, quale macchina, quali vestiti.

    Mi accorsi che il problema non era il nostro disaccordo, ma era la vaghezza dei nostri obiettivi. Quindi ho applicato il seguente processo: che stile vogliamo dare al matrimonio? in base a questo: che tipo di sala vogliamo? che tipo di ristorante vogliamo? che vestiti vogliamo? che auto? …

    Ognuno ha scritto per se i desiderata tra loro coerenti, quindi li abbiamo integrati e abbiamo chiuso tutto nella seguente fiera visitata.

    Questo perché se l’obiettivo è chiaro, davanti ad una scelta, è chiaro anche quale ti avvicina e quale ti allontana dal tuo obiettivo, quindi il processo di decisione diventa semplice, veloce e poco costoso in termini di energia.

    Se vi sono dei conflitti tra le opzioni possono esserci solo 2 alternative, o la scelta è un invariante (quindi una vale l’altra) o in quel dettaglio l’obiettivo non è chiaro. Va quindi chiarito cosa si vuole con precisione per quel dettaglio a prescindere dalle opzioni disponibili in quel momento, e quindi ripetere il processo di ricerca e scelta.

    in caso di conflitti invece di scelta tra vari decisori, si entra più in una fase di negoziazione.

    Questa la mia esperienza.
    Che ne pensi?

    Ti mando un caro abbraccio
    Stefano

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