Controllo vs Ricchezza
Noam Wasserman su HBR pone un interessante dilemma che spesso i fondatori di un’impresa si trovano a dover affrontare: quello tra il controllo e la ricchezza. I suoi studi, infatti, fanno rilevare come un fondatore disposto a cedere più capitale per attirare investitori costruirà, con tutta probabilità, un’impresa di maggior valore rispetto a chi cede meno capitale (o non ne cede del tutto).
Essere ricco e essere re? Queste le due opzioni di fronte a cui si trova l’imprenditore. Difficile essere entrambe le cose.
Ecco schematizzato il dilemma del fondatore, come lo chiama lo stesso Wasserman:
Proprio la scorsa settimana mi è capitato di discutere di un dilemma simile: quello tra crescita e controllo.
Se è vero che il maggior valore (e, quindi, i maggiori guadagni finanziari) passa anche attraverso una maggiore crescita dell’impresa, allora si tratta di due dilemmi tra loro complementari.
Molte aziende italiane mi pare crescano sotto il loro potenziale proprio per la paura di perdita del controllo da parte dell’imprenditore / fondatore.
Insomma, sono molti coloro che preferiscono essere re che essere ricchi.
Che ne dite?
Infatti Luca. molti imprenditori non sono cosi lungimiranti. anzi sono proprio terra terra.
Non credo si tratti soltanto di lungimiranza. Credo sia una questione di modelli mentali che si sviluppano dietro all’idea dell’essere imprenditore e del fare impresa.Ma mi riprometto di tornare sull’argomento. Se ci sono ispirazioni o suggerimenti, sono i benvenuti.
In quanto socio di minoranza di una società che opera nel settore comunicazione ritengo per eseprienza diretta che lo schema-diagramma proposto sia quanto piu’ di assimilabile alla mia situazione.Attualmente il quadrante che meglio configura la situazione attuale sia quello contraddistinto da "Re".Penso che cio’ sia dovuto a modalità comportamentali che promanano da retaggi e vissuti personali riferiti ai fondatori della società.Il dilemma fra crescita e controllo si puo’ risolvere solamnte da un punto di vista "culturale"
Sono assolutamente d’accordo che si tratta di un problema di cultura. Dematté lo chiamava la "trappola del fondatore": un modello di business che ha funzionato diventa (per il fondatore) l’unico possibile e, proprio a causa (paradossalmente) del suo successo, diventa un punto debole.
Esattamente e se consideriamo che il board di fondatori diciamo così è un organo collegiale il tutto si complica.Del resto siamo una realtà media (circa 40 effettivi) e come spesso accade non c’è una vera e propria strategia di creazione di "quadri" a cui demandare attività piu’ operative. Chi proviene d distretti industriali dove per cultura e struttura decide tutto il "Signor Amadori" dalla strategia media e publicitaria via via fino a questioni piu’ di grana grossa difficilmente si potrà crescere e potranno crescere determinate figure interne, o per lo meno i processi di crescita ci sono ma sono lunghi e tortuosi.